L’epoca dei cosiddetti furbetti del cartellino, ovvero i funzionari pubblici scaltri ed impuniti potrebbe aver raggiunto il suo capolinea. Dopo anni di approfondimenti giornalistici, controlli di forze dell’ordine ed indignazione dell’opinione pubblica, la pratica sembra destinata a scomparire poco alla volta. Una sentenza della Corte di Cassazione risalente all’anno 2017 (sent. n. 25374) ha stabilito infatti che per i funzionari pubblici che timbrano il cartellino senza essere realmente sul posto di lavoro, deve scattare il licenziamento lampo e senza preavviso.

Tra i decreti più importanti degli ultimi anni in materia, c’è sicuramente quello attuativo della Riforma Madia, approvato dal Consiglio dei Ministri nel 2016. Alla base di questa riforma c’è proprio l’obiettivo di punire con maggiore severità i dipendenti poco professionali della Pubblica Amministrazione e di valorizzare, al tempo stesso, quelli più diligenti.

Rilevazione presenze e licenziamento: la procedura è più severa

Tale decreto stabilisce per i “furbetti” una sospensione entro 48 ore dalla commissione del fatto illecito. Sospensione che consegue ad un timbro e successivo allontanamento dal posto di lavoro o ad un timbro per la rilevazione presenze immesso da un collega (nei casi peggiori, quando la persona interessata dovrebbe essere addirittura a riposo). Dopo la sospensione immediata, ha inizio il procedimento disciplinare che ha una durata di gran lunga ridotta rispetto al precedente: in passato poteva durare fino a 120 giorni, attualmente non può superare i 30 giorni.

In caso di comprovazione dell’illecito, scatta quindi il licenziamento immediato per chi lo ha commesso. L’accelerazione importante del procedimento e la riduzione temporale dei termini dà già un’idea della maggiore severità con cui si sta trattando il problema.

Ma non è tutto: a rischiare sono anche i dirigenti, spesso colpevoli di omertà in situazioni del genere. Secondo quanto disposto sempre dal decreto di cui sopra infatti, se un dirigente consapevole dell’illecito non denuncia il fatto entro 48 ore, può incorrere in sanzioni pesanti, tra cui l’eventuale licenziamento per casi più gravi. Considerando che prima, in situazioni simili, il dirigente rischiava al massimo una sospensione, il passo avanti è stato davvero notevole.

A proposito di dirigenti: sono proprio i responsabili degli uffici o amministrazioni a dover disporre la sospensione a carico del funzionario imbroglione, senza nemmeno aspettare di ascoltare le motivazioni dell’interessato a riguardo. Altro punto da sottolineare della riforma infatti è questo: non esiste alcun obbligo di preventiva audizione del colpevole. Per concludere, si sottolinea che la suddetta sospensione non riguarda solo l’incarico ma anche la retribuzione. Il funzionario che quindi viene colto a falsificare la propria presenza nella struttura, verrà privato anche dello stipendio.

Misure più restrittive, eppure la “moda” ancora non si ferma…

Il licenziamento lampo ed in generale i provvedimenti più severi in materia non sono comunque riusciti (per ora) a fermare questa brutta abitudine. A dimostrarlo sono diversi i casi di cronaca: uno dei più recenti risale all’estate del 2019, riportato da vari media. Circa un centinaio di dipendenti pubblici, tra Napoli e Monopoli (Bari) si sono infatti resi protagonisti di un assenteismo cronico nel corso di una lunga rilevazione presenze documentata da telecamere nascoste dei Carabinieri.

Medici, centralinisti, impiegati, infermieri, perfino un consigliere comunale. Dipendenti rispettivamente degli ospedali Cardarelli di Napoli e San Giacomo di Monopoli, sono stati accusati di truffa vera e propria a danni dello Stato, avendo timbrato puntualmente il cartellino per poi lasciare l’ufficio e svolgere impegni extra-lavorativi. Non mancano i casi grotteschi: nel napoletano una donna lasciava spesso l’incombenza al figlio di 13 anni che passava appositamente per la struttura, nel barese invece un’infermiera si faceva aiutare da un parcheggiatore abusivo che stanziava abitualmente in zona.

La soluzione definitiva al problema potrebbe essere quindi una soltanto: quella di affidarsi alla tecnologia. Il passaggio definitivo alle impronte digitali (già sperimentato più volte negli ultimi tempi) per la rilevazione presenze chiuderebbe definitivamente la questione.

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La lettura dell’impronta digitale dell’utente avviene mediante sensore biometrico e successiva conferma con i dati memorizzati sulla tessera, ed è esattamente la soluzione che viene suggerita dal garante della privacy per la protezione dei dati personali.

Con questa tecnologia vengono definitivamente evitati problemi di detenzione e backup dell’impronta che, nel caso specifico, è una traduzione della stessa in una serie di numeri crittografati e irreversibili, registrati esclusivamente sulla card custodita dal lavoratore; nessuna registrazione di dati biometrici viene effettuata sul terminale di rilevazione presenze.

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